Nell’art. 115 c.p.c. è codificato principio della non contestazione, in base al quale il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.

Questo principio, che ha una funzione di semplificazione e accelerazione del processo, ha subito, negli ultimi anni, una serie di modifiche e interpretazioni da parte della giurisprudenza.

Una delle questioni più controverse riguarda la sua quidditas: tale principio può involgere o no anche le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti?

La giurisprudenza di merito è stata inizialmente orientata a ritenere che il principio di non contestazione possa essere applicato anche alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti, ovvero alle conclusioni logiche che possono essere tratte dai fatti.

La giurisprudenza di legittimità, invece, è di diverso avviso, manifestando un orientamento più restrittivo.

In particolare, la Corte di Cassazione (17 novembre 2021, n. 35037 e 5 marzo 2020, n. 6172) ha specificato che il principio di non contestazione ha per oggetto i fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può concernere le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti: ciò perchè solo i fatti storici sono suscettibili di prova, diretta o indiretta, mentre le conclusioni ricostruttive sono invece frutto di un’attività valutativa del giudice, che non può essere in alcun modo supplita dalla mancata contestazione della parte.

In buona sostanza, la parte che assume un fatto a proprio favore ha l’onere di provare tale fatto, e la mancata contestazione non può esonerare la parte dall’onere probatorio, in quanto ciò violerebbe il diritto della controparte di difendersi adeguatamente.