Se la Proposta di Definizione ex art. 380-BIS c.p.c. contiene meri enunciati di stile sganciati dal costrutto argomentativo del motivo, non bisogna pronarvisi

Ricorso per Cassazione

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Se la PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS COD. PROC. CIV. contiene enunciati di stile del tipo “Il ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”, che tuttavia  testimoniano come il relatore proponente non si sia confrontato col motivo, la si deve senz’altro confutare, chiedendo la decisione.

Ove convinti della solidità dell’impianto argomentativo-censorio del motivo di ricorso, non bisogna lasciarsi condizionare, né dalla necessità di una nuova procura speciale ( onere è venuto meno a seguito del correttivo Cartabia) nè dal terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c., che l’art. 380 bis c.p.c. velenosamente richiama nella sua coda.

A ciò aggiungasi come a Piazza Cavour sia  invalsa la (virtuosa) prassi, in virtù della quale non verrà poi chiamato a far parte del Collegio decidente il relatore autore della proposta (prassi saggiamente in disarmonia col dictum di Cass. Civ., Sezioni Unite, Sent., 10 aprile 2024, n. 9611, ove invece si afferma che “il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51,comma 1, n. 4, e 52 c.p.c.” ).

Incappato in una proposta di definizione del tipo dianzi criticato, il Collega autore del ricorso mi interpella in merito alla solidità della proposta d’inammissibilità del 1° motivo di ricorso, tramite cui egli aveva denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.,  la violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1052 cod. civ..

Giudicata come  “meramente apparente” la motivazione addotta dal relatore a sostegno della proposta di definizione, giacchè completamente avulsa dalle argomentazioni che innervavano il motivo definito inammissibile, chiedevamo la decisione del ricorso. Riporto, qui di seguito: 1) la Proposta di definizione accelerata; 2) la Memoria ex art. 380-bis.1 C.P.C.; 3) l’Ordinanza della Corte di Cassazione che ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

  1. PROPOSTA  DI DEFINIZIONE ANTICIPATA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
R.G.N. 16786/2023

Primo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, perché con esso si contesta la statuizione con la quale la Corte di Appello ha ritenuto sussistente il requisito di interclusione e costituito la servitù di passaggio invocata dalla parte originariamente convenuta. Il ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Omissis
2) la Memoria ex art. 380-bis.1 C.P.C.

Suprema Corte di Cassazione
II Sezione Civile
Ricorso r.g.n. 16786/2023
Consigliere relatore Dott. Vincenzo Picaro
Camera di consiglio 8 maggio 2025
Memoria ex art. 380-bis.1 C.P.C.
*****

La ricorrente difesa non ha aderito alla proposta di definizione del giudizio, giacché la motivazione addotta dall’originario relatore a sostegno della ravvisata manifesta infondatezza/inammissibilità del 1° motivo di ricorso, non confrontandosi col costrutto argomentativo che lo plasma e connota, si rivela sguarnita di concreta attitudine censuratoria.
Secondo il proponente, esso sarebbe inammissibile poichè “… contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.
Ebbene, tale convincimento è probabilmente frutto di una lettura del motivo forse fuorviata da insistiti rimandi alla ctu, ivi effettuati, tuttavia ultronei rispetto alla quidditas delle doglianze in concreto da esso veicolate.
Una più meditata analisi dello scrutinato mezzo di ricorso avrebbe viceversa consentito di appurare, non solo (A) la fondatezza della doglianza di falsa applicazione dell’art. 1052 Cod. Civ., ma, altresì, (B) come esso (così come più diffusamente argomentato a partire da pag. 5 del presente scritto) malgrado l’incompletezza della rubrica, attacchi la sentenza lagunare anche dal versante dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., rimproverandole, tramite le argomentazioni ivi spese, l’omesso esame di un fatto decisivo.
(A) Onde acclarare come la sentenza offra il fianco, in primo luogo, alla censura di “valutazione di fatto” alcuna, bensì valorizzi e censuri un errore di sussunzione, tradottosi nella falsa applicazione della norma chiamata a governare quella fattispecie concreta riscostruita dalla stessa Corte veneziana.
Quindi (e contrariamente a quanto sostenuto nell’avversata proposta definitoria) non si è affatto al cospetto di una lettura alternativa del compendio istruttorio, contrapposta alla ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito.
La doglianza, al contrario, evidenzia come la fattispecie concreta, esattamente nei termini in cui è stata accertata dalla Corte lagunare, non si prestasse ad essere ricondotta sotto il contenuto precettivo dell’art. 1052 Cod. Civ., risultando priva di una perfetta e necessaria aderenza agli elementi costitutivi della norma astratta, nella quale è stata, purtuttavia, erroneamente sussunta.
Ecco che il motivo così inquadrato, lungi dal contestare alla Corte di merito di aver erroneamente ricostruito la fattispecie concreta, si dipana, al contrario, dalla medesima ricostruzione fattuale da essa stessa confezionata per poi, però, denunziarne, con articolata motivazione, l’avvenuta erronea riconduzione, per assoluto difetto di corrispondenza, nel paradigma normativo disciplinato dall’art. 1052, comma 1, cod. civ.
Detto altrimenti: a fronte di una decisione necessariamente frutto di una selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la ricorrente, denunziando, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 1052 Cod. Civ., si duole del vizio di sussunzione in cui impinge la sentenza impugnata.
La ricorrente non invoca una diversa combinazione dei dati fattuali che compongono ed esauriscono la fattispecie concreta delineata dalla Corte di merito, né, tantomeno, propugna un loro diverso peso specifico, ma rimarca, piuttosto, come quella medesima combinazione di dati fattuali osti alla loro riconduzione nell’alveo del primo comma dell’art. 1052 cod. civ.
(Non ci si stanca di sottolineare tale profilo, nella consapevolezza “…che i dati fattuali di partenza devono essere quelli accertati e valutati dal giudice del merito: rispetto ad essi può essere verificata in sede di legittimità la corretta riconduzione alla fattispecie astratta”: Cass. civ. sez. lav., 23/09/2016, n.18715, in motiv.ne).
In definitiva, nessun attacco scagliato contro la motivazione del fatto storico, bensì la confutazione della sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concreta applicazione, lasciando fermo e indiscusso l’accertamento in fatto operato dalla Corte lagunare: “Il vizio di violazione di legge per erronea sussunzione si verifica quando, fermo l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito, vi sia stata una erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza necessità di contestare la valutazione delle risultanze di causa” (Cass. civ., sez. II, ord., 5 aprile 2025, n. 9036, in motiv.ne; Cass. civ. Sez. 3, 16/07/2024, n. 1965).
Ciò assodato, e passando all’esame, in dettaglio, della fattispecie concreta in controversia, si osserva che la possibilità di costituire un passaggio coattivo in favore di un fondo che, quantunque circondato da altri, fruisca di accesso alla via, al fine di consentirne un altro sbocco sulla via pubblica, è pacificamente regolata dall’art. 1052 c.c., che subordina il diritto alla costituzione della servitù all’esistenza dei seguenti presupposti: 1) che il preesistente accesso sia inidoneo od insufficiente; 2) che il suo ampliamento sia materialmente irrealizzabile; 3) che il nuovo passaggio risponda alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza impedire o compromettere analoghe utilizzazioni del fondo servente.
Ebbene, si analizzi ora come si sia in concreto atteggiata la denunciata falsa applicazione dell’art. 1052 Cod. Civ., all’uopo scomponendosi la fattispecie concreta disegnata dalla corte distrettuale, enucleandone i singoli elementi fattuali di partenza: “… il passaggio richiesto da parte appellante (3) risponde alle esigenze dell’industria e (1) l’accesso alla pubblica via di parte appellante è insufficiente ai bisogni del fondo dominante perché non gli consente un adeguato e razionale accesso alla porzione di fabbricato adiacente.
Dal raffronto tra la norma astratta e la fattispecie concreta accertata, emerge, con evidenza immediata, il difetto di aderenza della seconda alla prima, poichè priva uno degli indefettibili presupposti applicativi delineati dalla norma in cui è stata viceversa incastonata: quello dianzi indicato sub (2), ossia l’impossibilità di ampliamento dell’accesso esistente.
Nel ricorso, a pag.11, ultimo periodo, si legge che “Invero il requisito dell’impossibilità di ampliamento, risulta un tratto distintivo rilevante tra la fattispecie di cui all’art. 1052 c.c. e quella prevista dall’articolo precedente del codice civile, che risulta connesso a quello in commento, per espresso richiamo normativo, attraverso la locuzione d’esordio dell’art. 1052”; a pag. 14, 1° capoverso, è inoltre dato leggere “La fattispecie all’esame non prevede, come fa il precedente art 1051 c.c., che gli eccessivi dispendi o disagi per conseguire l’accesso alla via pubblica, abbiano un qualche rilievo nel giudizio, ma espressamente e in modo difforme rispetto all’art 1051 c.c., dispone che per la concessione del passaggio coattivo ex art 1052 c.c., il passaggio esistente “non possa essere ampliato”; mentre, a pag. 15, 1° capoverso, “Si rileva, come, in contrasto con quanto ritenuto da dottrina e giurisprudenza maggioritarie, la Corte d’Appello di Venezia abbia errato nella ricognizione del precetto normativo e conseguentemente nella sua interpretazione e applicazione al caso concreto, finendo per attribuire alla norma un contenuto che non ha riferimento alla fattispecie in essa delineata….. Risulta evidente che la stessa ricognizione letterale del precetto normativo è stata carente, non avendo la Corte neppure completato l’esame integrale della norma, omettendo di considerare il presupposto rappresentato dall’impossibilità di ampliamento del passaggio, che viceversa costituisce un elemento indefettibile della fattispecie”.
I testè riportati passaggi del ricorso, lungi dall’involgere “una lettura alternativa del compendio istruttorio” appaiono, piuttosto, strettamente funzionali, corroborandola, alla propugnata doglianza di falsa applicazione dell’art. 1052 Cod. Civ.?
La scrivente difesa, scostandosi nettamente dall’assunto censuratorio del proponente, ribadisce l’incontrovertibile ammissibilità del motivo in scrutinio, giacchè esso non interferisce sui fatti accertati dalla Corte di merito, auspicandone una diversa ricostruzione e/o combinazione, ma demanda al Supremo Collegio di appurare soltanto se la Corte d’Appello abbia sussunto sotto la pertinente previsione normativa i fatti de quibus.
L’errore che il motivo rimprovera alla Corte lagunare non è quindi un errore di accertamento, bensì un errore di giudizio, consistente nell’aver ricondotto sotto l’egida dell’art. 1052 Cod. Civ., una fattispecie concreta insuscettibile (nemmeno col soccorso del procedimento analogico) di essere disciplinata da tale norma, per la radicale assenza di uno dei suoi presupposti applicativi: l’impossibilità, prevista dal primo comma, di ampliamento dell’accesso esistente.
(B) Qui si riprende e sviluppa un argomento cui sì è fatto già cenno all’esordio del presente scritto: il primo motivo di ricorso quantunque ancorato dalla sua rubrica, alla sola censura di falsa applicazione di norma di legge, si profonde, altresì, in argomentazioni che corrono, univocamente, lungo i binari della doglianza di omesso esame di fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Si ripercorrano, per acquisirne contezza, i pertinenti snodi narrativi, qui di seguito testualmente richiamati.

Pag. 8, 1° capoverso: “Dalla lettura dell’elaborato peritale, risulta inoltre accertato che, il capannone dell’intimata è stato “più volte ampliato anche successivamente all’avvenuta divisione in due porzioni-unità immobiliari operata mediante frazionamento nell’anno 1999” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa pp. 33 ultimo rigo e 34 prime due righe). Più avanti e nello stesso senso, nel corpo dell’elaborato tecnico si legge che le unità immobiliari di proprietà della …. s.r.l. hanno “subito modifiche e recenti ampliamenti” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa pp. 39, prime quattro righe della pagina) e poi che “i due fondi non sono affetti da interclusione, intesa come tale, rispetto alla pubblica via” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa, pp. 39, paragrafo 9.2)”;
pag. 8, ultimo periodo: “Costituisce dunque fatto accertato nel giudizio d’appello e non posto in discussione in questa sede, che la porzione del fondo di proprietà dell’intimata, oggetto delle domande formulate dall’intimata ai sensi degli artt. 1051, 1052, 1054, nonché 1061 e 1062 c.c., è stata oggetto di recenti ampliamenti e modifiche e dell’installazione di due Silos, proprio nella parte del fondo, prospicente il confine con quello preteso servente”;
pag. 14, 1° capoverso: “La fattispecie all’esame non prevede, come fa il precedente art 1051 c.c., che gli eccessivi dispendi o disagi per conseguire l’accesso alla via pubblica, abbiano un qualche rilievo nel giudizio, ma espressamente e in modo difforme rispetto all’art 1051 c.c., dispone che per la concessione del passaggio coattivo ex art 1052 c.c., il passaggio esistente “non possa essere ampliato”, circostanza non presa in esame dalla Corte territoriale in violazione dell’art. 1052 c.c.”;
pag. 16, 1°capoverso, e pag. 17: “Nel caso di specie, proprio con riferimento a quanto accertato nella CTU di primo grado – fatta propria dalla Corte lagunare -, per come evidenziato sub A) nel presente atto, le possibilità di modifica e ampliamento degli accessi alla via pubblica di parte del fondo dell’intimata, erano state già vagliate nell’elaborato peritale, che aveva correttamente evidenziato che l’insediamento produttivo in questione era stato “più volte ampliato anche successivamente all’avvenuta divisione in due porzioni-unità immobiliari operata mediante frazionamento nell’anno 1999” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa pp. 33 ultimo rigo e 34 prime due righe); che le unità immobiliari attualmente di proprietà dell’intimata …. s.r.l. avevano “subito modifiche e recenti ampliamenti” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa pp. 39, prime quattro righe della pagina) e infine che “la porzione di edificio industriale attualmente di proprietà della società ….S.R.L. è stata – e lo è tuttora – oggetto di ampliamenti” (cfr. doc. 3 fascicolo intesa pp. 7, paragrafo 4.1 Consistenza)…. Per altro verso, proprio i continui ampliamenti e le modifiche del predio dell’intimata accertate dal CTU, testimoniano indirettamente la piena possibilità di ampliamento del passaggio. Si osserva allora, che laddove rettamente interpretato, l’art. 1052 c.c. avrebbe dovuto condurre la Corte a respingere le domande formulate dall’intimata, in quanto non sussistono agli atti del processo, elementi idonei a dimostrare la non ampliabilità del passaggio, che costituisce uno dei presupposti normativi per la concessione del passaggio coattivo (cfr. doc. 5 fascicolo intesa, sentenza di primo grado, pp. 9 e 10)”.
Orbene, i sovra riportati passaggi dimostrano, con irrefragabile evidenza, come la doglianza di omesso esame di fatto decisivo, sia pure non consacrata nella rubrica del motivo, si conformi allo statuto degli oneri di allegazione codificato dalla giurisprudenza di Codesta Corte, sedimentatasi sul motivo volto a censurare l’omesso esame di fatto storico.
La censura, quindi, per come concretamente argomentata è senz’altro meritevole di essere riqualificata in modo consentaneo ai principi di effettività della tutela giurisdizionale e di strumentalità delle forme processuali (cfr. Cass. nn. 26130 e 25557 del 2017).
Segnatamente, nel corpo del motivo:
1) è stato individuato il fatto storico, costituito dalla possibilità di ampliamento (Pag. 8, a partire dal 1°capoverso);
2) se ne è dedotto l’omesso esame da parte della Corte veneziana (pag. 15, ultimo periodo);
3) è stato indicato, nella CTU svolta in 1° grado, il dato testuale da cui ne risulta l’esistenza (Pag. 8, 1° capoverso);
4) è stato indicato (pag. 15, ultimo periodo) il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato fatto oggetto di discussione tra le parti: sentenza di primo grado, pagg. 9 e 10 (“Tuttavia, nel caso di specie, come evidenziato nella stessa CTU (v. pag. 21 della stessa): – Il fondo dei convenuti Newsea e BNP ha un accesso alla pubblica via (e, pertanto non è intercluso), e di conseguenza non rientra nei requisiti dell‘art. 1051 cc.; Non vi è alcun elemento per ritenere che tale accesso non possa essere ampliato e, quindi, non sussiste il presupposto indefettibile di cui all’art. 1052 c.c. Di conseguenza, non sussistono i requisiti di legge per ottenere la costituzione di una servitù coattiva”).
Esaurita la pars destruens e passando, tirando le fila delle testé esplicitate notazioni, alla pars construens, mette conto sottolineare come il fatto storico (la possibilità di ampliamento del passaggio già esistente sul fondo della odierna controricorrente) il cui esame è stato omesso dalla corte distrettuale, rivesta indubbia natura decisiva in senso dirimente, posto che, se fosse stato scrutinato dalla Corte lagunare, giammai quest’ultima avrebbe potuto calare la fattispecie concreta accertata nell’ambito dell’art. 1052, comma 2, cod. civ..
Ne deriva che la sentenza d’appello, con assoluta certezza, non avrebbe potuto statuire la costituzione, in via coatta, a carico del fondo della ricorrente, di servitù di passaggio alcuna.
Pertanto, alla luce delle argomentazioni dianzi svolte, si chiede che la Suprema Corte, in accoglimento del 1° motivo del ricorso, cassi parzialmente l’impugnata sentenza, rinviando alla Corte d’Appello di Venezia, demandandole, in diversa composizione, di accertare, alla luce di un’effettiva e precisa ricostruzione dello stato dei luoghi, involgente la pacifica e incontroversa possibilità di ampliamento del fondo della Newsea s.r.l., se sia possibile o meno sussumere la fattispecie concreta accertata, in quella prevista dall’art. 1052, co. 2°, c.c., e, conseguentemente, se sia possibile, o meno, imporre al fondo della ricorrente la costituzione della servitù di passaggio pedonale e carraio prevista dall’art. 1052, comma 2, Cod. Civ.
Avv. Claudio Federico
Avv. Marco Iozzia

3) Ordinanza Cassazione civile sez. II – 13/05/2025, n. 12744

                         REPUBBLICA ITALIANA

                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                        SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro       – Presidente

Dott. PAPA Patrizia     – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo   – Relatore

Dott. MONDINI Antonio   – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria    – Consigliere

ha pronunciato la seguente

                                  ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16786/2023 R.G.

                               proposto da:

Avv. Marco Iozzia che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato CLAUDIO FEDERICO,

-ricorrente-

                                    contro

, in proprio e quale successore ex art. 111 c.p.c. dellaa, elettivamente domiciliata in R [Omissis],presso lo studio dell’avvocato, che lo rappresenta edifende unitamente all’avvocato, -controricorrente e ricorrente incidentale-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.2403/2021 depositata il 17.9.2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8.5.2025 dal

Consigliere VINCENZO PICARO.

FATTI DI CAUSA

Omissis

Con sentenza n. 155/2020, il Tribunale di Rovigo accoglieva le domande della … Srl di accertamento dell’usucapione abbreviata dell’area scoperta e dell’inesistenza di diritti reali, o parziari delle convenute su tale area.

La . Srl, che nelle more del giudizio era divenuta proprietaria della porzione di fondo industriale per riscatto dal leasing, interponeva appello avverso tale pronuncia, e la . Srl, che aveva incorporato per fusione la … Srl prima dell’inizio del giudizio di secondo grado, resisteva al gravame.

Con sentenza non definitiva n. 2403/2021 del 15.9.2021, la Corte d’Appello di Venezia accertava e dichiarava l’esistenza della servitù di captazione dell’acqua dal pozzo situato sull’area scoperta della . Srl, in favore del fondo della . Srl (particella 47 sub 3 del foglio 14 del catasto fabbricati del Comune di Rosolina), per destinazione del padre di famiglia, stante la sussistenza, già al tempo della vendita, di condutture utili alla lavorazione industriale del pesce che si svolgeva nella porzione di stabilimento a suo tempo ceduta dalla … Srl, respingendo invece la domanda di accertamento della servitù di passaggio su quell’area a favore della parte posteriore dello stabilimento della . Srl per destinazione del padre di famiglia e ritenendo che difettasse l’interesse di quest’ultima a vedere negata la proprietà per usucapione abbreviata dell’area scoperta in capo alla . Srl perché già proprietaria di tale area a titolo derivativo.

Con separata ordinanza la Corte d’Appello rimetteva la causa in istruttoria ai fini dell’individuazione dell’esatto tracciato della servitù di passaggio pedonale e carrabile della quale era stata chiesta in subordine dalla . Srl la costituzione coattiva e per la determinazione della relativa indennità, nonché per la liquidazione delle spese processuali.

Con la sentenza definitiva n. 367/2023 del 7/15.2.2023, la medesima Corte, in esito ad una CTU, costituiva ai sensi dell’art. 1052, comma 2, cod. civ. la servitù di passaggio, pedonale e carrabile, in favore del fondo della . Srl, evidenziando la rispondenza del passaggio da essa richiesto alle esigenze dell’industria e l’inadeguatezza dell’accesso alla pubblica via del quale la porzione di stabilimento cedutale già fruiva, sul solo fronte anteriore, alle necessità del fondo dominante, condannava la . Srl al pagamento dell’indennità di Euro 5.095,00 in favore della controparte, disponendo la trascrizione delle servitù riconosciute, ordinando alla . Srl di rimuovere qualsiasi ostacolo al loro esercizio, e compensando le spese processuali del doppio grado e di CTU.

Avverso le predette sentenze la . Srl ha proposto ricorso a questa Corte, sulla scorta di tre motivi, e la . Srl ha resistito con controricorso e ricorso incidentale subordinato, affidandosi a due censure.

È stata formulata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso, comunicata in data 25.1.2024, e i difensori della . Srl, muniti di procura speciale, in data 7.2.2024 hanno depositato istanza di decisione ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., a seguito della quale è stata fissata adunanza in camera di consiglio.

Nell’imminenza dell’udienza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via preliminare occorre rilevare, che la proposta di definizione accelerata formulata, ed avverso la quale è stata presentata tempestiva istanza di decisione in base ad apposita procura speciale dalla . Srl, ha riguardato soltanto il ricorso principale, e non il ricorso incidentale condizionato della . Srl.

1) Con la prima doglianza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1052 cod. civ., con riferimento all’art. 1062 cod. civ. Con una lettura parziale del precetto normativo di cui all’art. 1052 cod. civ., la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare uno degli elementi essenziali della fattispecie di costituzione coattiva di servitù in favore di fondo non intercluso, consistente nell’impossibilità dell’ampliamento dell’accesso alla pubblica via già esistente. Secondo la ricorrente, attesa l’insussistenza di una situazione di effettiva necessità di realizzazione del passaggio e la mancanza del suddetto requisito di legge, il Giudice adito non avrebbe dovuto accordare la costituzione coattiva dello stesso.

Il primo motivo del ricorso principale, col quale si lamenta l’erronea sussunzione della fattispecie concreta esaminata, da parte della Corte d’Appello di Venezia, nella sentenza definitiva n. 367/2023, con la costituzione coattiva della servitù di passaggio pedonale e carrabile della larghezza di m 3,50 sul lato est della particella 47 sub 4 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina, di proprietà della . Srl, fino al fabbricato adibito a deposito di proprietà della . Srl (particella 47 sub 12 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina), meglio descritta nell’allegato 5 alla CTU del geometra , rispetto alla previsione dell’art. 1052 comma 1 cod. civ., è fondato e merita accoglimento.

La ricorrente, infatti, lungi dal richiedere a questa Corte una rivalutazione in fatto della fattispecie, o dal volere contrapporre una propria ricostruzione in fatto antitetica a quella compiuta dalla Corte d’Appello, lamenta che quest’ultima, nell’adottare la suddetta statuizione, abbia seguito un’errata nozione dei requisiti che l’art. 1052 cod. civ. esige per la costituzione coattiva di una servitù di passaggio a favore di fondo non intercluso, considerando solo nella motivazione fornita i requisiti ritenuti sussistenti dell’esistenza di un accesso alla via pubblica e della sua insufficienza ed inadeguatezza ai bisogni (nella specie industriali) del fondo della . Srl, ma non quello dell’impossibilità dell’ampliamento dell’accesso esistente, che non è stato fatto oggetto di alcun accertamento, come se la norma citata non lo richiedesse.

Va qui ricordato che per giurisprudenza consolidata di questa Corte “il vizio di violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per erronea sussunzione si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacato di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso e la censura attiene, infatti, all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione delle risultanze di causa” (Cass. ord. 5.4.2025 n. 9036; Cass. ord. 6.11.2024 n.28526; Cass. ord. 16.7.2024 n. 19651).

Nella specie, al punto 1 della motivazione, la sentenza definitiva impugnata ha accertato, in base alle risultanze istruttorie testimoniali, documentali e tecniche, che il passaggio pedonale e carrabile richiesto dalla appellante (. Srl) rispondeva alle esigenze dell’industria, e che il suo accesso alla via pubblica era insufficiente ai bisogni del fondo dominante, perché non le consentiva un adeguato e razionale accesso alla porzione di fabbricato adiacente al fondo della . Srl (particella 47 sub 4 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina), ha poi scelto il tracciato individuato nell’allegato 5 alla CTU, e riconosciuto dovuta per la costituzione coattiva ex art. 1052 comma 1 cod. civ. della servitù di passaggio pedonale e carrabile della larghezza di m 3,50 sul lato est della particella 47 sub 4 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina di proprietà della . Srl dalla parete sud del fabbricato della . Srl fino al fabbricato adibito a deposito di proprietà della . Srl (particella 47 sub 12 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina), che si affaccia sull’area interna, l’indennità dallo stesso stimata di € 5.095,00, ma non ha effettuato alcun accertamento in ordine alla possibilità, o meno di ampliamento dell’accesso già esistente, limitandosi ad indicare che prima del frazionamento e della divisione dell’originario unico fondo con l’atto di vendita del notaio Noto (del 14.3.2000 rep. n. 66492) le due porte dei locali tecnici della parte interna del fabbricato della . Srl lato sud e la scala avevano accesso dalla particella 47 sub 4 del foglio 14 del NCT del Comune di Rosolina, essendo stata tuttavia negata, già in primo grado, con conferma in appello, la costituzione della servitù di passaggio su tale ultima particella per destinazione del padre di famiglia, per mancanza del requisito dell’apparenza delle opere destinate al passaggio.

La giurisprudenza di questa Corte, è però consolidata, nel ritenere che la costituzione coattiva della servitù di passaggio a favore di fondo non intercluso ex art. 1052 comma 1 cod. civ., richieda, oltre all’accertamento dell’interclusione relativa e della funzionalità del passaggio alle esigenze dell’agricoltura, o dell’industria (alle quali si sono aggiunte le esigenze abitative in base alla sentenza n.167 del 10.5.1999 della Corte Costituzionale), anziché il requisito dell’impossibilità di procurarsi l’uscita sulla via pubblica senza eccessivo dispendio, o disagio, previsto dall’art. 2051 comma 1 cod. civ. nei casi di interclusione totale, quello dell’impossibilità di ampliare il passaggio inadatto esistente (vedi in tal senso in motivazione Cass. ord. 18.12.2017 n.30317; Cass. 16.11.1994 n.9643), sicché per costituire la servitù di passaggio coattiva ai sensi dell’art. 1052 comma 1 cod. civ. la Corte d’Appello di Venezia avrebbe dovuto prima accertare l’impossibilità dell’ampliamento del passaggio già esistente, tanto più che erano stati accertati sia ripetuti ampliamenti del fabbricato della . Srl successivi all’acquisto di quest’ultima con l’atto del notaio Noto del 14.3.2000, sia la costruzione dei due silos nell’area interna lato sud della . Srl sempre dopo la divisione dalla proprietà della . Srl.

Omissis.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione

– accoglie il primo motivo del ricorso principale, inammissibili il secondo ed il terzo motivo dello stesso,

omissis

Così deciso nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2025.

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